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Le tarme nel portafogli

La vita è costellata di momenti difficili, questo è indubbio, ma a volte capitano cose che minano profondamente l’autostima di una donna, soprattutto se la signora in questione è la classica persona superindaffarata: lavoro (stressante da far venire i capelli dritti con quel nuovo capo fin troppo perfettino), casa (pulisci, cucina, stira e lava… e se ti azzardi a fare la fettina anemica si arrabbiano pure), spesa (guarda l’etichetta, la scadenza, il glutammato, il lattosio, il piripacchio…) magari pure i figli (prendili, portali, accompagnali, curali). Insomma una specie di dea Kali
Ecco è proprio quando una donna così si reca, chessò dal macellaio, ordina col sorriso sulle labbra (perché non si sa mai che poi uno sconticino ci scappi pure) due etti di cotto, la bresaola, le fettine di vitello, il petto di pollo, insomma una spesuccia degna di rimpinguare i ripiani di quel frigorifero che ad inizio settimana ti fa l’eco come le caprette di Heidi, che scatta il momento di panico assoluto.
A spesa conclusa la fanciulla si avvia alla cassa. Estrae il portafogli e… ne escono nugoli di tarme. Non c’è nemmeno il bancomat o la carta perché sono nell’altra borsa! E’ rimasto solo l’euro che serve per il carrello del supermercato, quello che non si spende MAI.
Orrore! Che fare? A parte passare in rassegna sul volto tutti i colori dell’arcobaleno (compresi indaco e violetto) è cosa indubitabile che sovvenga alla mente l’immagine di una piccola vanga con la quale scavare molto, molto velocemente una fossa grande abbastanza per saltarvici dentro alla velocità del fulmine e da ricoprire all’istante con tanto di fiorellino spuntato all’uopo. 
Ma tantè, il problema bisogna risolverlo comunque: un sorriso in questo caso è sempre una buona idea ma le possibilità che si aprono sono molteplici:
1) La telefonata inaspettata – Ovvero si finge una telefonata assolutamente improrogabile, importantissima, scusandosi con la cassiera e promettendo di tornare dopo due soli minuti. In questo caso ovviamente ci si dovrà esibire in una performance degna dell’Actor Studio con una serie di “Mammamia!!, davvero??, dobbiamo risolvere subito la cosa!” scappando fuori dal negozio sveltamente ma facendo bene attenzione a mantenere lo sguardo fisso sugli occhi del questuante, gesticolando con le mani in segno di “arrivo immediatamente, esco per una questione di cortesia e di rispetto per lei che certamente non ha voglia di sorbirsi i miei discorsi”.
2) Occhioni da gatto con gli stivali – Tecnica non facile: consiste nell’arcuare le sopracciglia e sgranare le palpebre in modo da far leggermente lacrimare l’occhio che in questo modo diverrà simile a quello di un cucciolo tenerissimo. Questo sistema è più efficace quando si ha a che fare con un esponente dell’altro sesso che normalmente sfodera la sua recondita esigenza di aiutare le pulzelle in difficoltà. In questo modo si potrà chiedere (sottovoce) all’interlocutore di poter tornare più tardi. Normalmente una classica cassiera risponderebbe gridando “Coooosa signoora? Non ha i soooldiiii? Non impooooortaaaa.”
3) La verità con dignità – Vuotare il sacco, ecco l’ultima chance. In questo caso la cosa è attuabile solo se l’esercente ci conosce da tempo  e sa che tutto sommato, anche in piena crisi economica mondiale, siamo abbastanza solvibili per le fettine di pollo. Scusarsi profusamente ma anche con aria decisa, quasi infastidita, del tipo “ecco, ieri ho messo via la vecchia borsa senza vuotarla così mi trovo nei pasticci. Rimedierò a questo inconveniente e sarò di nuovo qui in men che non si dica (anche se avrei un miliardo di altri impegni più importanti)”.
A parte gli scherzi consolatevi, capita proprio a tutte. Tuttavia, basta un tocco di bon ton!

Respect

”Respect for ourselves guides our morals; respect for others guides our manners.” Laurence Sterne.

O tempora, o mores! La banalizzazione del rispetto

Così esordiva Cicerone nel commentare i costumi, affatto degni di ciò che oggi potremmo chiamare una “buona recensione”, all’epoca dei suoi scritti su Catilina. Ma l’esimio console, principe del foro romano, sarebbe più che inorridito nel prendere parte ad uno di quegli eventi sociali semicollettivi, similesclusivi, ipoteticamente rilevati dal punto di vista culturale, di fatto solo emblematica espressione delle moderne invasioni barbariche. Perché proprio di questo si tratta: di un progressivo e quanto mai deleterio imbarbarimento delle più basilari regole di comportamento, esacerbato dalla totalizzate non curanza per il prossimo e dalla banalizzazione di qualsiasi norma di carattere etico.
Definirla “mala educazione” non è più sufficiente. Lo spazio riservato al totale disinteresse per le necessità di contegno in alcuni frangenti della vita è ormai questione assodata. Eppure io non mi capacito, non accetto e mi ribello! 
Perchè un buon comportamento aiuta a vivere meglio e ad apprezzare tutto quanto ci circonda suggerendone la vera natura a volte celata da un ammonticchiamento di atteggiamenti terrificanti, incomprensibili, che propendono per fruizione veloce, immediata degli accadimenti ma quantomai povera di riflessione e soprattutto di rispetto.
La capacità di non prendere sempre tutto troppo sul serio è stata soppiantata dalla consuetudine di prendere sempre tutto in maniera banale rendendo qualsiasi argomento vago, sfumato ed effimero, privo di qualsiasi spunto considerevole e affatto degno di buon agire. Magari si mantenesse ogni considerazione alla stregua di conversazione da salotto che presupporrebbe, almeno in quel frangente, un adeguato contegno. L’impressione è che si viri invece verso un’incondizionato e totalizzate annullamento delle buone maniere, anche le più scontate, che divengono materia da libro antico soprattutto quando si parli di comportamento collettivo.
Hic sunt leones.

Galateo e shopping

Ospito oggi con grande piacere un piccolo stralcio tratto da una simpatica conversazione con Angela Bianchi, professionista determinata e pungente, consulente d’immagine per VirgoImage,e ve lo propongo come riflessione giornaliera ad una espressione di comune e ormai convenzionale sgradevole comportamento all’interno anche delle boutique più prestigiose.
Angela mi racconta il caso: “…Entro in un negozio e mi rivolgo alla commessa per vedere da vicino una borsa esposta in vetrina – Buongiorno! Mi potrebbe far vedere la borsa corallo in esposizione? La commessa: “Certamente! Vuoi la grande o la piccola?” Scusi?? Va bene che molti mi reputino più giovane, ma perché sempre più spesso il passaggio al tu è scontato? Siamo amiche? Siamo mai uscite a pranzo assieme? Ho tenuto a battesimo tuo figlio? NO! E allora! 
Quest’abitudine di dare del tu a tutti è una chiara trasposizione dall’ inglese con la sottile differenza che l’inglese non prevede l’uso della terza persona in una situazione formale mentre l’italiano si! E’ da sottolineare però che in inglese sono la costruzione e la scelta del verbo che rendono la frase più o meno formale. O è solo la volontà generalizzata di volersi sentire sempre giovani e quindi la paura che dando del Lei si “invecchi” l’altra persona? Mah…
Chiedo ufficialmente a tutte le assistenti alla vendita, al personale di front office ed in generale a tutte le persone che si rapportano direttamente con partner, clienti e fornitori di utilizzare il Lei per una forma di rispetto e per mantenere quel distacco che si conviene quando due persone non si conoscono a sufficienza. 
Scusi ci conosciamo? Mi verrebbe da rispondere così alle commesse che, seppur io mi rivolga a loro con il Lei, si sentano in diritto di darmi del tu. Non che io sia la nuova versione della Signorina Rottermeier ma il distacco che viene a mancare nel passaggio dal Lei al tu crea situazioni imbarazzanti e sdogana comportamenti di inappropriata confidenzialità.

L’altro giorno ero in una boutique di una nota località balneare e mi sono sentita trattata come una ragazzina a cui veniva spiegato con tono di stizza e con tanto di tu che quella cucitura che io reputavo un difetto in realtà non lo era “da qualche parte dovranno pur fare il nodo!”
Ovviamente non vado in giro con scritto in fronte che mestiere faccio ma anche senza difetto quella borsa l’avrei lasciata lì lo stesso.
Sono dell’idea che un cliente debba entrare in un negozio e sentirsi coccolato, servito ed accompagnato, se necessario, nelle scelte d’acquisto. Sarà poi il cliente a chiedere di farsi dare del tu (anche se personalmente non ne vedo la necessità) e non una libera interpretazione del personale di vendita. Purtroppo questa tendenza sta cominciando a diffondersi anche nelle boutique di alto profilo causando la perdita in prestigio e professionalità.” 

Ho sorriso nell’ascoltare le sentite rimostranze di Angela verso l’accaduto ma era pur sempre un riso amaro, velato da una punta di soffocata malinconia per quanto tutto ciò sia miseramente reale…

Le buone maniere insegnate ai piccoli

“L’uomo è un animale sociale” questo il pensiero di molti filosofi: da Seneca ad Hobbes fino a Nietzche.
Senza stare a disturbare le grandi menti pensiamo a quanto sia importante per la socializzazione dei bambini, l’insegnare loro quali siano le buone maniere, spesso dieguali in diverse realtà socioculturali, per una corretta percezione di noi stessi e dell’ambiente che ci circonda, per l’accettazione e la cooperazione tra i singoli finalizzata ad una migliore qualità della vita. 
Senza troppe imposizioni però
Ecco un esempio di gioco “maieutico”, davvero delizioso, ideato a piccole schede illustrate dal celebre fumettista americano Richard Scary, noto per la pubblicazione di numerosi libri per bambini. Ogni vignetta suggerisce un comportamento corretto e ben educato in maniera leggera e divertente. Sul retro è possibile scrivere insieme ai piccoli, una sorta di piccolo diario di quando sia capitato di utilizzare il suddetto comportamento. 

La scatolina-gioco esiste in francese ma anche in inglese. Un ottimo modo, in una società multietnica quale la nostra, di accostare i piccoli anche a lingue e culture diverse.

Ti telefono o no?

Un’odierna telefonata, iniziata e terminata in maniera alquanto brusca, mi ha fatto sovvenire come il bon ton telefonico sia divenuto, anche in tempi di imperanti comunicazioni in velocità, cosa assai rilevante. Ricordiamo qualche semplice regoletta per mantenere un certo contegno anche in presenza di interlocutori piuttosto “tranchant”.

Identificarsi innanzi tutto
Quando si telefona è buona norma salutare il nostro interlocutore con tono gentile e snocciolare immediatamente le proprie generalità proseguendo, sempre con cortesia, nel chiedere della persona con la quale si desideri parlare.
“Buon giorno, sono Carla Rossi, potrei gentilmente parlare con Maria Bianchi?”
Chiedere è lecito, rispondere (con) cortesia
Se chi sta chiamando non dovesse presentarsi in maniera spontanea chi risponde avrà il diritto di chiedere informazioni circa l’interlocutore con il quale si sta conversando mantenendo possibilmente un certo aplomb anche ne caso sorgesse una qualche immediata irritazione.
Glielo passo, anzi no…
Nel caso si debba, o si voglia, fungere da “filtro” alle telefonate sarà opportuno utilizzare frasi di risposta generiche ma debitamente ricercate che non diano all’interlocutore l’impressione che la persona richiesta voglia negarsi espressamente. “Buon giorno Signora Rossi, non so se la Signora Bianchi si trovi in ufficio al momento, mi faccia controllare per favore…”
Sbagliare è umano
Se per errore si dovesse aver digitato il numero sbagliato non sarà certamente molto cortese riattaccare immeditatamente il telefono senza una sola parola ma ci si scuserà con gentilezza con chi ha risposto ammettendo l’errore. Dal canto suo il legittimo proprietario del numero errato dovrà a sua volta comunicare con cortesia che si è commesso un errore magari richiedendo all’interlocutore un possibile controllo incrociato del numero appena composto. Le scuse profuse vanno comunque sempre accettate.
L’ora giusta
Se si parla di telefonate private è opportuno ricordare che la vecchia usanza di rispettare alcune fasce orarie non è mai caduta in disuso. Evitare quindi orari antelucani e squilli a tarda sera. Se dovesse trattarsi di famiglia con bambini ricordare che il momento del pasto e del bagnetto è una situazione di particolare stress attentivo per mamma e piccolo… Quindi meglio sorvolare.
Voci e suonerie
Sempre, sempre, sempre, sempre basse! Entrambe.
SMS e dintorni…
Evitare di scrivere SMS utilizzando un tipo di fraseologia “contratta” assai moderna ma alquanto cafona. Meglio ridurre al minimo i concetti e le parole ma utilizzandole per intero. Da evitare al massimo grado i messaggini “generalisti” inviati all’intero indirizzario. Hanno più spesso un effetto sgradito anzichè ben accetto.

ed infine… telefono si, telefono no:

  • sempre staccato o con suoneria totalmente silenziosa in: cinema, teatri, mostre, ristoranti, conferenze e luoghi di culto
  • alla guida va utilizzato solo con appositi dispositivi quali auricolari e vivavoce che oltre a far evitare una multa salata riescono a distrarre meno il conducente della vettura
  • se il telefono squilla mentre si è in presenza di altre persone ci si scusa e si riduce il tempo di conversazione a pochi attimi per informare il proprio interlocutore che siamo impossibilitati a parlare e che si richiamerà in seguito
  • Se in presenza di ospiti si dovesse avere la necessità di telefonare si chiederà il permesso ai presenti allontanandosi temporaneamente per il tempo della conversazione.

Coltiviamo un po’ di “etichetta telefonica” perchè non sia più considerata un lusso, ma una consuetudine.

Costumi e… le tre cose da non fare, di LINA SOTIS


Costumi da bagno per signora, signorine e signori. Se la signora è frolla, ignori il super sgambato e la tetta a balconcino sostenuto. Non consideri bikini decorati con anelloni di ferro e rifugga il tanga.

La signorina in tanga sappia che la beltà del suo didietro porterà commenti brevi e mai appuntamenti seri. Per cui, chi gira in tanga si assuma le sue mele responsabilità.

Per signori e giovinotti. Non c’è niente di meno elegante che il costumino a mutanda aderente che evidenzia il pacco. Se c’è, troverà il modo di evidenziarsi da solo.

La madre della sposa indosserà il cappello

Il cappello è tornato prepotentemente alla ribalta in questi ultimi mesi come accessorio irrinunciabile per la donna che, durante una cerimonia, desideri un completamento raffinato della propria personalità.

Una volta gli inviti per matrimoni “en chapeau” erano all’ordine del giorno. Anzi, l’utilizzo del cappello era generalmente raccomandato e non soltanto in cerimonie di altissimo standing. Era visto come “status symbol”, come ostentazione di una prorompente, femminilissima eleganza alla quale non si poteva e non si doveva rinunciare. Ecco perché ben poche mamme di futura sposa avrebbero mai scelto di presentarsi deliberatamente alle nozze della figliola senza un adeguato copricapo, soprattutto in ricevimenti di particolare importanza.. In ogni caso per la cerimonia nuziale era senz’altro la madre della sposa a definire se si potesse o meno indossare il cappello e questo a seconda se ella decideva di portarlo oppure no. Ai nostri tempi questa regola è quasi entrata in disuso anche se, volendo rispettare le formalità, dovremmo comunque riferirci ad essa. Oggi viene tollerato l’utilizzo del cappello anche senza esplicita indicazione purchè portato con disinvoltura e nel rispetto di alcune regole di base del buon comportamento. Un po’ di bon ton “storico” – Ricordiamo che i matrimoni “en chapeau” (letteralmente “Signore con cappello”) si svolgevano d’estate, di giorno e all’aperto, il copricapo infatti andrebbe indossato dalle signore dall’inizio del matrimonio e tenuto durante tutti i suoi passaggi. Sarebbe assolutamente poco educato però non toglierlo quando ci si siede a tavola, fosse anche solo per non disturbare il desinare del vicino di tavolo, e andrebbe decisamente tralasciato dopo il tramonto. Ma come si sceglie il cappello adatto? La tipologia di cappello da indossare va scelta in armonia non soltanto con la propria mise, ma anche con lo stile della cerimonia nel suo complesso. È indispensabile dunque sceglierlo con cautela ricordando che l’utilizzo di questo tipo di accessorio senza dubbio completa lo stile e conferisce raffinatezza, ma inevitabilmente cattura l’attenzione su chi lo veste, pertanto è bene evitare gli eccessi, soprattutto se non si ama particolarmente trovarsi al centro dell’attenzione. Come prima regola base sarà necessario ricercare una proporzione tra la calotta e la larghezza della falda che devono essere adeguate alla dimensione e alla forma del viso. La proporzione del cappello dovrebbe essere inoltre in armonia con la propria corporatura; una donna di statura modesta, per esempio, dovrebbe evitare di indossare cappelli a tesa troppo larga. La scelta del colore è l’altro fondamentale elemento di discrimine nella scelta, ricordando che vestire un cappello del medesimo colore del proprio abito rischia di sicuro di uniformare un po’ troppo l’abbigliamento. Come va indossato correttamente il cappello? Pochi accessori possono far notare una donna come un cappello ben portato. Se ben vestito il cappello incornicia graziosamente il viso femminile, ombreggiandolo nei punti giusti. Va sistemato calzandolo saldamente ma confortevolmente, si tira quindi la parte centrale della tesa verso la fronte in modo da lasciar scoperta solo la zona sopraccigliare. I cappelli con tese particolarmnte larghe possono essere portati anche leggermente inclinati lateralmente. Ultime raccomandazioni:

  • Se indossate il cappello ricordate di alzare leggermente il viso se vi doveste accorgere di venir fotografate: il volto risulterà più luminoso e naturalmente elegante.
  • Ricordate che il cappello, per quanto comodo, inevitabilmente rovina un minimo la messa in piega del parrucchiere, quindi infilate in borsetta una spazzola di emergenza per poter rinfrescare l’acconciatura una volta lasciato il cappello oppure optate per un’acconciatura bassa, adatta al copricapo, e abbondate con lacca e forcine.
  • Infine niente velette (seppur meravigliose) ad una cerimonia di mattina!

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