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10 modi per sopravvivere da sole al ristorante

E’ d’obbligo una premessa: a nessuna donna, di qualsiasi età, condizione socio-culturale o livello di emancipazione, piace essere piantata da sola al ristorante. Chi vi dice che ciò non sia vero MENTE sapendo di farlo. Se ciò non bastasse lasciare da sola una donna al ristorante, dopo interminabili promesse e divagazioni telefoniche su una ipotetica, imperdibile serata romantica è da pura denuncia, da accoltellamento rapido, da fucilazione immediata.


1) Accettate la cruda realtà
La difficoltà sostanziale di questo tipo di occasione sta nel non farsi prendere dalla tentazione di attendere a oltranza: il pacco è giunto e voi vi ritrovate SOLE e raminghe in un ristorante (ovviamente uno dei migliori della città, perché queste cose capitano soltanto in certe occasioni). Datevi un tempo massimo di attesa dopo il quale dovrete necessariamente scegliere: ordinare o battere in ritirata. Se scegliete la prima soluzione la cosa migliore sarà farlo con la nonchalance di chi pensa “finalmente sola, finalmente un po’ di tempo per me stessa, era ora!” Contemporaneamente potrete riflettere se sia meglio pensare ad una vendetta stile Attrazione Fatale (coniglio stufato in pentola) o un caro vecchio metodo alla moda di noi ai tempi del liceo, ovvero con l’utilizzo di preparazioni lassative in dosi da cavallo.


2) Non parlate da sole: 
la gente non è ancora pronta per accettare l’idea che qualcuna di noi possa avere un amico immaginario. Sareste prese per pazze e compatite in mezzo secondo, ergo: evitate come la peste.


3) Niente scene madri al telefono
oppure tutti verranno a conoscenza del fatto che vi hanno dato buca e voi, ne sono certa, volete informare il mondo solo dei vostri successi. L’eccesso di collera non dona alla messa in piega. Cominciate piuttosto a riflettere al vostro perfido piano di rivalsa che dovrete preparare con una buona dose di malefica e spietata tranquillità.
4) Rubinetti chiusi!

Vietatissimo piangere o singhiozzate rumorosamente asciugandosi guance e naso col tovagliolo (orrore!). Non guaite come piccole dobermann sacrificali alla luce della luna. Datevi un contegno e non fate scendere una lacrima, una, dal viso e se sentire scendere la lacrimuccia fate finta di aver appena messo il collirio e ripetetevi che non sarete voi a dare agli altri qualcosa di cui parlare, quantomeno non in QUEL modo!

5) Fate portar via subito il coperto in più
Sfoderate il vostro sguardo più languido anziché quello da mucca che guarda i treni passare. Ebbene sì, non siete sole, raminghe, orfane di compagnia ma donne libere, indipendenti e… favolose! Per di più affamate (e non solo di vendetta). Godetevi la cena per quanto possibile. In fondo ci vuole tempo per pensare ad una feroce rappresaglia e a stomaco pieno si riflette meglio.

6) Ricordate il detto “in vino veritas”

Una donna che mangia da sola è una visione allettante per qualsiasi “falchetto” si trovi a svolazzare nei dipressi. Un bel bicchiere di vino ben sorseggiato ha poi lo stesso effetto supersexy di una dolce promessa appena sussurrata. Occhio a non esagerare però, una donna alticcia può risultare sguaiata e, quel che è peggio, molto spesso troppo ciarliera. Quindi sì al calice, no alla magnum.

7) Cibo per la mente

Non pensate che leggere a tavola sia maleducato. In certi casi è invece la salvezza della propria autostima. Leggere, leggete, leggete quindi: menu, libri, giornali, magazine, istruzioni per l’uso di qualsiasi tipo di aggeggio abbiate in borsa (!), bugiardini dei medicinali, retro di biglietti del tram dimenticati nel portafoglio dai tempi del giurassico… basterà tuffarsi in quattro righe di testo per dare l’impressione di essere super-impegnate e lì, in quel preciso segmento spaziotemporale, proprio perché lo stavate desiderando da un secolo.

8) From A to Z.

Abbiate cura di avere sempre con voi una splendida penna, meglio se di gusto un po’ maschile. In mancanza di questa procuratevi una BIC, una piuma rubata al pennuto di piazza, un pennellino per gli occhi intriso di kajal, un pennino bagnato col rivolo di sangue che esce dalle vostre labbra serrate e… scrivete! Appunti, liste della spesa, letterine per Babbo Natale, schemi di burraco, strategie per invadere la kamchatka, poesie a tretrametro trocaico catalettico, elenco dei buoni e dei cattivi ma soprattutto una bella lista di chi non vi dovrà invitare MAI più al ristorante.

9) Parlate al telefono 

o fate finta di farlo con qualcuno che vi faccia ridere, che vi diverta e che vi faccia assumere un’espressione quanto più gioviale e rilassata. Nessuno potrà mai pensare che siete state vittima di una fregatura da appuntamento mancato.

10) Giù il sipario

L’uscita dal ristorante dovrà essere meravigliosa, superba, memorabile. Stampatevi un sorriso di soddisfazione sulle labbra, libratevi eteree nell’aria e camminate con la vostra immaginaria coda di pavone ben visibile al pubblico presente. E se il cameriere vi ha retto il gioco elargitegli una mancia cospicua. Non vi sono soldi meglio spesi di quelli impiegati per imbellettare una situazione potenzialmente disastrosa.

Ah, dimenticavo. Il giorno dopo… fatelo nero!


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Amor che a nullo amato…

…amar perdona. Diceva Dante.
Ma di recente sull’etimologia della parola “amore” ne ho sentite un gran numero.
Il mio vecchio professore di greco e latino temo avrebbe corrucciato assai le sopracciglia a sentirne qualcuna (brrrr… mi vengono ancora i brividi dopo più di due decenni, quasi tre!).
Tra le tante l’etimologia più amata, perchè assai più poetica e ricca di fascino è quella che vuole che la parola derivi dal latino “a-mors” (con alfa privativo greco), ovvero senza-morte. Temo però che così non sia. Almeno a dar retta alle riminiscenze del liceo!
Il verbo latino “amare” deriva dal verbo arcaico “camare“, con la radice indoeuropea “kam” che significava desiderare e da qui derivò “kam-ami” cioè “amo”.
La parola “amore” insomma non deriva da una radice differente, non è composta: la sua radice significa se stessa. 
Perché in fondo l’AMORE non ha bisogno di spiegazioni. E’ amore, punto.
P.S. Grazie Professore!

Capolavoro

Come sapete credo fermamente nell’Amore, nel matrimonio e in quel sentimento senza fine che lega due persone indissolubilmente… per tutta la loro vita.
Quando alcune storie, a volte, finiscono non sempre portano solo strascichi totalmente negativi.
A volte sono spunto per veri capolavori. Come questo.
Adele – Rolling in the deep

L’amore ai tempi della crisi

Benedetta Tobagi dalle pagine di Repubblica esprime, con illuminanti e caustiche parole fitte di esempi e dotte citazioni, ciò che ritengo sia anche il mio pensiero in merito a tutta l’attenzione mediatica roiservata al matrimonio reale tra il Principe William e la non più commoner Catherine Middleton. Temo che i detrattori di tale evento non avranno vita facile dato l’altissimo impatto emotivo di questa occasione resa davvero speciale anche da uno svecchiamento della rigida etichetta di corte che accoglie sotto la sua ala antiche tradizioni e fresche novità, perchè l’amore, quello vero, espresso negli atteggiamenti e nelle attenzioni dei due giovani l’uno per l’altra, ricalca tutta la crescente meravigliosa necessità del genere umano di ricercare una speranza di felicità pur ricavata tra tutte le difficoltà di una vita (la nostra si) “normale”. Una bella favola fa sempre sognare, a maggior ragione in tempi di crisi: crisi monarchica, politica, economica e valoriale, perchè come scrive la Tobagi “…l’amore romantico resta la droga più potente sintetizzata dall’ umanità”
Allego il testo dell’articolo che molto mi è piaciuto invitando alla riflessione per un approccio all’amore romantico come qualcosa di trascendente, come un’apertura di mente e cuore per la quale è sempre necessario rischiare…
Paradossale: il numero dei divorzi cresce, le tensioni della vita moderna rendono sempre più difficile la vita a due, la “deregulation” nei costumi sessuali è ormai un fatto acquisito, eppure, dall’ abbazia di Westminster al tappeto rosso di Cannes ove sfileranno le star protagoniste dell’ atteso The beloved (“gli amati”), le quotazioni del romanticismo reggono, anzi, sembrano in rialzo. Rivisitando in salsa rosa le storie di vampiri, la saga Twilight ha conquistato un successo planetario, mentre un recente studio statunitense rivela che donne cercano una dimensione romantica persino nel porno online: il sito erotico più popolare tra il pubblico è specializzato – udite udite – in una versione osé di romanzi alla Jane Austen.
Ma non è solo marketing, né si limita al pubblico femminile: scorrendo le migliaia di elenchi con le dieci ragioni per cui vale la pena vivere inviati a Roberto Saviano da uomini e donne di ogni età, la centralità dell’ amore balzava agli occhi. In un mondo scosso da guerre e incidenti nucleari, tre miliardi di persone che restano imbambolate a guardare una coppia di ragazzi ricchi belli e privilegiati, eredi al trono di una ex potenza decaduta, che si scambiano voti di eterno amore in diretta mondiale, sembrano provare che l’amore romantico resta la droga più potente sintetizzata dall’ umanità. Ed è pure legale.
Le cinque “S” da prima pagina – Sangue, Soldi, Sport, Sesso, Spettacoli – bisogna dunque aggiungere Sentimento?
Il fantasma dell’ amore romantico, buttato dalla finestra con tutti i suoi accessori (dichiarazioni d’ amore, impegno per il futuro, sesso con sentimento, senso di essere stati uniti dal destino e non dal caso…), rientra trionfalmente dalla porta.
È per sfuggire alla dura realtà che la favola delle nozze reali ha sedotto il mondo intero? L’antropologia ci insegna che un rito produce i suoi effetti proprio con pratiche che “si impadroniscono” del pensiero, rendendoci più propensi a credere che ad analizzare criticamente le cose, alimentando così le grandi illusioni di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. Il romanticismo è una di queste? È una forma di diniego della realtà?
Woody Allen, massimo interprete delle nevrosi affettive della modernità, non ha dubbi. Nel suo recente “Incontrerai l’ uomo dei tuoi sogni” trova l’ amore solo una credulona di mezz’ età che si affida a una falsa veggente. Pur nel cinismo, il film mette a fuoco il contrasto tra la visione egoistica e strumentale di chi rincorre una nuova relazione per sentirsi giovane, per soldi, per sfuggire le responsabilità della vita, e la vecchia Helena, ancora disponibile, seppur goffamente, ad aprirsi all’ “atto di fede” che richiede ogni nuova relazione.
L’amore romantico, col suo groviglio di idealizzazioni, aggressività e sensualità, ci espone sempre a un rischio terribile. Vulnerabili, dobbiamo imbarcarci in un difficile compromesso tra il desiderio che abbiamo della persona amata e la paura di essere rifiutati, traditi, abbandonati – specialmente se ci hanno già ferito. Questo eterno dilemma oggi è amplificato: rischiare è ancora più difficile quando intorno rimane ben poco di stabile a cui aggrapparsi.
Ormai disponiamo di una vasta letteratura e filmografia sull’ impatto devastante della precarizzazione delle condizioni materiali d’ esistenza sulla vita affettiva. Secondo Zygmunt Bauman, primo interprete di questa crisi, la logorrea mediatica intorno all’ amore è solo un’ altra faccia del consumismo che tende a ridurre i sentimenti alla dimensione del soddisfacimento istantaneo, senza alcun reale investimento affettivo.
Proprio questo scenario desolato, però, alimenta per reazione la fame di storie d’ amore vecchio stampo: è quanto suggeriscono dalla capitale mondiale del romanticismo, Parigi, le riflessioni dei pensatori che la rivista Philosophie ha messo all’ opera sul tema.
 Il cattolico Jean-Luc Marion ricorda che l’amore è la porta sempre accessibile a tutti verso la trascendenza, un’esperienza di pienezza e unicità capace di dare senso alla vita: amando creiamo l’ “immagine immortale” di cui parla nel Cielo sopra Berlino l’ angelo che si incarna per amore di una trapezista. Slavoj Zizek e lo stesso Bauman riconoscono nell’ amore l’ ultima utopia rimasta (parzialmente) in piedi, «il grande rimedio alla dissoluzione dei legami sociali», spazio possibile per una vita autentica, proiettata nel futuro. Alain Badiou vede nel dire “ti amo” addirittura una forma di resistenza al capitalismo. Il mondo va a rotoli, e spaventati ci rivolgiamo all’ ultimo serbatoio di speranza: “e vissero felici e contenti”.
La favola del matrimonio reale ha tanto successo perché è un rito che incorpora il passato nel presente, offrendo un rassicurante senso di continuità. Ma c’ è qualcosa in più. Molte delle nuove narrazioni romantiche contengono forti iniezioni di realtà, quasi fossero strutturate per reggerne l’urto. Il film-manifesto di questa tendenza è la commedia American Life. La giovane coppia in cerca del luogo per crescere un figlio rappresenta l’ amore forte e quieto che sfida l’ incertezza, offre un baricentro nei marosi dell’ esistenza e ripara i traumi del passato: un “neoromanticismo” agli antipodi da follie e deliquio dello Sturm und Drang.
A pensarci bene, anche le nozze di Will e Kate obbediscono a questo schema: sono la versione aggiornata, riveduta e corretta del matrimonio fallimentare di Carlo e Diana, sceneggiate per confortare spettatori segnati da massicce iniezioni di cinismo e delusione. Nessuna Camilla nell’ armadio, già superata la prova di un lungo fidanzamento, rotture incluse, e William che sussurra «ti amo, sei bellissima»- le «trite parole che non uno osava», per dirla col nostro Saba, ancora capaci di toccare il cuore di qualunque donna – integra felicemente nell’ apparato dinastico la spontaneità dei sentimenti di Diana (vera o falsa che fosse), in passato tanto osteggiata dai gelidi Windsor. Compensatorio e rassicurante. Per irretire i pessimisti irriducibili del tempo presente c’ è bisogno di amori da sogno che sappiano inglobare anche il dolore. Persino a Hollywood: il divo ammalato di sesso Michael Douglas e la bomba sexy del musical Chicago Catherine Zeta-Jones oggi permettono al mondo di specchiarsi con simpatia in un matrimonio che lotta per resistere al cancro di lui e alla conseguente depressione di lei. In questo “neoromanticismo” temprato dalla realtà sembra essersi offuscata la carica rivoluzionaria e dirompente della passione, che, da Romeo e Giulietta a Casablanca a Le conseguenze dell’ amore, si scontra con mille ostacoli, scuote convinzioni e convenzioni, infonde agli innamorati un coraggio inaudito. In questo senso, lo scenario più inquietante lo offre la distopia di Non lasciarmi:i giovani protagonisti del film, allevati per fornire organi da trapianto, seppur consapevoli della loro esistenza a termine si amano appassionatamente, come Lara e il dottor Zivago nella villa di Varykino tra lupi e ghiacci, prima di essere separati dagli urti della Storia. Ma nemmeno l’amore riesce ad accendere nei cloni di Ishiguro un moto di ribellione che li scuota dalla rassegnata accettazione del destino. In un mondo sempre più angosciato dal futuro, riuscirà l’ amore romantico a riscoprire il suo animo ribelle?  Il suo destino, come quello di ogni storia d’ amore, è una partita aperta.   Benedetta Tobagi